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Ogm: tra Europa e Usa ci rimette l'Africa
(Consumi & società - marzo 2003)

di Stefano Saletti

Divisi su molte questioni (teoria della guerra preventiva, ruolo dell'Onu, diritti civili), Europa e Stati Uniti anche in materia di biotecnologie applicate all'agricoltura sono i capifila di due visioni diametralmente opposte: un sì incondizionato agli Ogm, gli organismi geneticamente modificati, arriva dagli Usa; un no continua a essere la risposta del Vecchio continente. Che, non fidandosi delle risposte ancora vaghe della scienza, applica il principio di precauzione: finché non è dimostrato che non fanno male, blocchiamo la produzione degli Ogm e continuiamo la sperimentazione. A rischiare di rimanere schiacciata dai due colossi è l'Africa.

Una delegazione di scienziati, imprenditori e agricoltori provenienti da diversi Paesi africani alla fine di gennaio ha incontrato i deputati della Commissione Esteri della Camera e poi è volata a Bruxelles. Portando con sé un messaggio: "Mentre l'Europa continua a dibattere sugli Ogm, su principio di precauzione, soglia di tolleranza e sperimentazione, in Africa la tecnologia biotech è necessaria per affrontare alcuni dei nostri problemi più urgenti", ha sottolineato James Ochanda, docente all'Università di Nairobi, in Kenya, e presidente dell'African Biotechnology Stakeholders Forum.

In una conferenza stampa al termine dell'audizione a Montecitorio, la delegazione ha detto con una voce sola che l'agricoltura africana ha assolutamente bisogno delle biotecnologie e l'indecisione dell'Europa su questa materia potrebbe avere ripercussioni profonde sul commercio in tutta l'Africa.

"Pur non essendo una panacea per tutti i guai dell'agricoltura zambiana - ha aggiunto Luke Mumbe dell'Università dello Zambia - le biotecnologie hanno sicuramente un ruolo da svolgere nell'incrementare la produzione di cibo. E possono servire per ottenere coltivazioni con determinate proprietà, come la resistenza a parassiti e infestanti, la tolleranza alla siccità e migliori caratteristiche nutrizionali".

Lo Zambia è uno dei Paesi africani che sta pagando il prezzo più alto della stasi europea in materia di agrobiotecnologie. Di fronte alla minaccia dell'Ue di sospendere le importazioni dallo Zambia qualora venissero usate tali tecniche in agricoltura - ha spiegato Mumbe - il governo non ha accettato grosse partite di mais provenienti dagli Usa. Così oggi 2,4 milioni di zambiani sono alla fame e si stima che presto il numero salirà, ha spiegato il professore. A sostegno del punto di vista espresso dagli esperti si sono schierati anche alcuni agricoltori sudafricani che coltivano cotone geneticamente modificato, resistente agli insetti infestanti. Ha detto T.J. Buthelezi: "Ho potuto constatare in prima persona i benefici del cotone Ogm. Ora ottengo rese più elevate con un terzo in meno di insetticida. Agli africani non dovrebbe venire negata la possibilità di scegliere questa tecnologia per liberarsi dai lacci della povertà".

Gli fa eco un altro agricoltore: "La scorsa stagione ho coltivato due ettari di terreno a cotone tradizionale, altri due a cotone transgenico. A fine stagione, il campo Ogm mi aveva reso due volte quello tradizionale. E questo è tutto".

Ma proviamo a capire cosa sono gli Ogm. Li conosciamo da anni, li mangiamo spesso senza saperlo e su di essi ci sono ancora confusione e dubbi nella comunità scientifica. Sono il risultato del trapianto di geni da una catena di Dna all'altra. In Italia sono permessi solo due tipi di Ogm e si possono solo importare e non coltivare: sono il Mais Bt che contiene il gene di un bacillo che dovrebbe eliminare un parassita, la piralide, e la Soia Round up Ready, una pianta transgenica in grado di resistere all'erbicida, il Round up, quello che fa diventare gialli i campi, per eliminare le erbacce.

I sostenitori dicono che possono essere utili in agricoltura perché si riduce l'uso di pesticidi, almeno fino a quando non si sviluppano i fenomeni di resistenza, e perché aumenta la produzione. In Europa e quindi in Italia parliamo però di sperimentazione, perché la legge vieta di seminare e commercializzare organismi geneticamente modificati. Ma poi importiamo sementi e prodotti che arrivano per esempio dagli Stati Uniti, dove non c'è alcuna restrizione. Così su latte, gelato, pane e yogurt alla soia, corn flakes e tortilla, per citare solo alcuni alimenti, si nascondono apporti nutrizionali ben diversi da quel che si pensa e che non vengono indicati al consumatore. Nell'etichetta, infatti, va apposta l'indicazione "Questo prodotto contiene organismi geneticamente modificati" soltanto se gli ingredienti contengono oltre l'1% di Ogm.

Sulla percentuale negli ultimi mesi c'è stato un forte scontro tra il Parlamento europeo, che voleva abbassare la soglia allo 0,5 per cento, e la Commissione Ue, pressata dalle richieste delle multinazionali del biotech, che voleva lo 0,9. Ivan Verga, responsabile Biotecnologie e biosicurezza dei Vas (Verdi, Ambiente e Società) ci offre un quadro della posta in gioco. "Il Consiglio dei ministri agricoli ha scelto la via del compromesso. Anzi: sulle regole che dovranno disciplinare l'etichettatura di alimenti e mangimi contenenti o derivati da organismi geneticamente modificati, ha sostanzialmente sposato la posizione più "lassista" della Commissione Ue. Per gli ingredienti dei prodotti alimentari, i ministri agricoli hanno fissato una soglia di "tolleranza" del materiale transgenico allo 0,9%. Questa scelta ha il sapore di uno schiaffo alla sovranità del Parlamento europeo, che si era espresso per tutelare il consumatore limitando la presenza di Ogm negli alimenti allo 0,5%".

Il vero "cavallo di Troia" è però la questione delle sementi, dice ancora Verga. Entro la prossima estate dovrebbe essere varato anche il regolamento collegato sulla tracciabilità degli alimenti. "La strategia delle imprese è evidente - spiega l'ambientalista -. Si vuole arrivare alla "contaminazione di fatto", con partite di sementi Ogm non autorizzate. Un processo che costringerà la Ue a una progressiva corsa al rialzo della soglia di tolleranza. L'obiettivo è chiaro: Unione Europea e Giappone sono i mercati più intolleranti agli Ogm, ma sono anche i principali importatori mondiali di prodotti alimentari. Se queste porte, forzate o scassinate, si spalancano, il giro d'affari sarà enorme".

Resta la domanda che da anni divide il mondo scientifico e la società: se mangiamo alimenti geneticamente modificati corriamo qualche rischio? Corrado Fogher, docente di Manipolazione degli organismi di interesse agricolo presso l'Università Cattolica di Piacenza, ha spiegato che gli ipotetici rischi legati al consumo di Ogm sono nettamente inferiori ai possibili vantaggi. Secondo lo studioso: "I benefici sono tanti, sia dal punto di vista ambientale, sia medico. Le pratiche agricole sviluppate negli ultimi anni '70 hanno modificato l'ambiente (con concimi, pesticidi, diserbanti) per adattarlo alle esigenze delle piante con tutte le conseguenze di inquinamento che ben conosciamo, mentre con gli Ogm si modificano le piante per adattarle all'ambiente". In questo modo è dunque possibile "selezionare" i vegetali per migliorane le proprietà nutrizionali e renderli più adatti e resistenti all'ambiente circostante.

A pensarla diversamente è Marcello Buratti, docente di Genetica all'Università di Firenze. Più che di rischi, secondo Buratti, bisogna parlare di imprevedibilità. "L'introduzione di un gene estraneo - che sta alla base degli Ogm - dà luogo a reazioni spesso imprevedibili. Dato che ogni Ogm è il primo del suo tipo bisognerà sperimentare cosa succede". Buratti sottolinea il potenziale pericolo per la salute umana. Al primo posto dei rischi legati al consumo di Ogm sono le allergie alimentari. Ogni gene estraneo introdotto nell'alimento infatti codifica una proteina che può scatenare la reazione allergica in persone ignare della sua presenza. Episodi di reazioni allergiche - con tanto di vomito e shock anafilattico - si sono già verificati negli Stati Uniti ed hanno portato al ritiro dal mercato del prodotto sotto accusa e a diverse inchieste federali.

Inoltre mentre è molto facile provare la tossicità di un alimento è molto difficile accertarne il potere allergenico in quanto questo varia da uomo a uomo. Interrogata sull'argomento, l'autorità Istituzionale del Ministero della salute ha detto che con il tempo ci si abitua a tutto. Risposta un po' evasiva. Dubbi rimangono anche perché negli Usa le garanzie sulla innocuità dei prodotti vengono fornite direttamente dalle case produttrici, che le trasmettono all'organismo di controllo competente, che è la Food and Drug Administration: insomma è il controllato che controlla se stesso.

Malgrado ciò, nel 2002 le colture biotecnologiche hanno raggiunto nel modo un totale di quasi 60 milioni di ettari. E l'ultimo rapporto del Servizio internazionale per l'acquisizione delle applicazioni agrobiotecnologiche (Isaaa), sottolinea come entro il 2005 il mercato globale delle colture biotecnologiche raggiungerà un valore pari a 5 miliardi di dollari. Soltanto lo scorso anno sono stati quasi 6 milioni, in 16 paesi diversi, gli agricoltori che hanno scelto di passare dalle coltivazioni tradizionali a quelle biotecnologiche e di questi tre quarti sono quelli poveri di risorse nei paesi in via di sviluppo.

Il maggior tasso di incremento si è avuto per il mais (+27 per cento), che ha raggiunto nel 2002 una superficie totale di 12,4 milioni di ettari, seguono la colza le cui colture sono aumentate dell'11 per cento raggiungendo i 3 milioni di ettari e la soia con un aumento del 10 per cento per una superficie totale di 36,5 milioni di ettari, mentre restano invariati i valori delle coltivazione di cotone pari a 6,8 milioni di ettari. Nel caso della soia, ovvero della coltivazione biotecnologica di maggiore estensione, per la prima volta è stato superato il 50 per cento di tutte le superfici coltivate a tale varietà. Quanto ai produttori i maggiori restano Stati Uniti, Argentina, Canada e Cina. In quest'ultimo caso le coltivazioni biotech di cotone lo scorso anno hanno superato la metà di tutto il cotone coltivato. Tuttavia molti paesi in via di sviluppo si accingono a seguire le orme di quelli più sviluppati. Per la prima volta nel 2002 sono state rilevate colture geneticamente modificate in India, Columbia, Honduras e proprio nel dicembre 2002 le Filippine hanno approvato l'impiego in agricoltura di una varietà di mais ottenuta mediante le biotecnologie.

Secondo il rapporto dell'Isaaa, inoltre, le coltivazioni biotech stanno contribuendo alla riduzione dell' uso di pesticidi: il cotone resistente agli effetti infestanti, da solo, è in grado di abbattere del 40 per cento l'attuale fabbisogno di insetticidi a livello globale. Cifre che danno manforte ai ragionamenti empirici fatti dagli agricoltori sudafricani ai nostri deputati. Ma che non attenuano i forti dubbi di molti consumatori.

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